Japanese Gum

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È giunto anche per SoundMark il momento di darsi da fare con le interviste, i primi a farne le spese sono stati i genovesi Japanese Gum, disponibili e loquaci nonostante gli impegni: la promozione di Without You I’m Napping e gli ultimi ritocchi al loro primo full-length.
Bando alle ciance, la parola a Davide Cedolin e Paolo Tortora.

Parlateci un poco di ciò che ha portato alla formazione dei Japanese Gum: da dove ha origine la vostra esperienza musicale e quali sono le figure chiave del vostro percorso?
D- Ciò che ha portato alla nascita i Japanese Gum è stata un grande voglia di provare a mettersi in gioco tentando di dare continuità alle nostre esperienze passate in band tipicamente post-rock ma cercando però di evolvere tale discorso verso qualcosa di più stratificato, dove avere la possibilità di coinvolgere l’elettronica in modo più massiccio come elemento di struttura e tramite la quale sperimentare nuovi percorsi musicali all’interno dei quali riversare il nostro bagaglio sonoro al completo e dove poter dare libera azione ad un modo di far musica che prescinda da metodi e schemi precisi. Un po’ cervellotico ma il concetto direi che è questo… All’interno del nostro percorso direi che ogni figura che abbiamo incontrato è stata cardine: da Gigi che fino a Talking. Silently e.p. ha suonato con noi a Matteo di Marsiglia Records che è stato tra i primi a credere in noi, dagli amici ai primi fans, dai tipi dei locali che ci hanno chiamato a suonare, ai gruppi con i quali abbiamo condiviso le serate, da chi non la pensa bene su di noi a tu che ora invece ci stai intervistando…
P- I JG nascono ancora quando suonavamo in un gruppo spiccatamente post-rock. Le sonorità che ricercavamo era qualcosa che potesse distaccarsi da ciò che stavamo facendo; allo stesso tempo si cercava un terreno ancora per noi inesplorato, dove poter sperimentare e far sfociare in musica ciò che avevamo dentro ma che era rimasto inespresso. Quindi è stata una nostra necessità di suono, oltre che una comodità stilistica visto che potevamo comporre senza uscire da casa. Il che ci ha garantito tempi molto corti per sviluppare le nostre idee. Non si doveva più andare in saletta per provare un’idea che avevamo in testa, la si poteva direttamente registrare da casa. Per noi questo modo di procede è stato rivoluzionario nel modo di concepire la musica. Poi, con lo scioglimento del gruppo post-rock, abbiamo capito che l’idea migliore non era buttare via quello che eravamo nell’altro gruppo, ma bensì che potevamo fondere le due sonorità. Tutto questo avveniva quando ormai le canzoni di Talking. Silently e.p. avevano già preso una forma, seppur ancora molto primitiva rispetto a come sono state fatte uscire dopo. Per quanto riguarda le figure chiave è difficile dirlo. Sicuramente chi ci ha incoraggiato, chi ci ha aiutato, e quindi direi anch’io persone come Matteo e Gigi. Direi anche che la persona chiave è stata anche Davide, dopotutto se non ci incontravamo magari non sarebbe nato nulla. Poi in quel periodo stavo anche iniziando a scoprire veramente l’elettronica, alla quale non ero particolarmente attratto prima. Quindi direi che le cose che sentivo in quel periodo mi hanno molto influenzato nel modo di fare musica.

Dall’uscita del vostro primo ep sotto Marsiglia non vi siete mai fermati e continuate a proporre con continuità nuovo materiale, e questa esigenza di espressione artistica è riuscita a farvi ottenere ottimi risultati di critica. Ci dite qualcosa riguardo al vostro rapporto con il mondo esterno? Dal pubblico alla critica ai vostri “colleghi” dell’underground italiano, siete soddisfatti di come vanno le cose?
D- Personalmente nonostante sia abbastanza volubile di umore, ci tengo molto a stabilire contatti e a relazionarmi quotidianamente con persone interessanti, con le quali e dalle quali si può imparare molto. Col pubblico abbiamo un rapporto realmente positivo: nonostante a volte possa apparire che ce ne stiamo sulle nostre, poco loquaci e tendenzialmente non di compagnia, ci piace fermarci a chiacchierare alla fine di un live, come non disdegnamo assolutamente di rispondere alle mail che la gente ci manda… La critica ci interessa in quanto per un gruppo è parte fondamentale dell’esposizione all’esterno, senza di essa sarebbe molto difficile riuscire a raggiungere un’utenza più ampia e talvolta più mirata rispetto a quella che si riuscirebbe con un blog ed i soli live. Al di là di questo con i nostri “colleghi” ovviamente dipende, in quanto persone tutte, c’è con chi ci si trova maggiormente in linea ed invece con chi no: non ho dubbi sul dire che ci sono band con le quali abbiamo instaurato ottimi rapporti di stima ed amicizia reciproca che va ben oltre al semplice relazionarsi in campo musicale… penso ai Sea Dweller, Antony degli Isan, Magpie, Blown Paper Bags, Still Leven, Jukka dei Giardini di Mirò…
P- Le interazioni con le persone vengono gestite in particolar modo da Davide. Io non sono molto capace a relazionarmi con gli altri e a mantenere contatti. Tuttavia girando con I JG ho la possibilità di conoscere molte persone con le quali mi piace conversare, sentire le loro opinioni, e soprattutto parlare di musica per sentire le loro idee al riguardo. Forse sono nostalgico, ma mi piacciono più le conversazioni che gli scambi di email che purtroppo però sono necessari. In generale servizi come Myspace, blog etc, riescono però a riempire uno spazio che c’è tra l’artista e resto del mondo. Mi ricordo che prima dell’avvento di questo tipo di Internet, nel cosiddetto Web 1.0, le band sembravano cosi lontane che sembrava disturbarli cercando di contattarli. Ora invece si ha la possibilità di parlare con chiunque con la massima libertà. A tal punto che tanti preferiscono raggiungerti via Internet che farti i complimenti di persona. Per quanto riguarda gli altri musicisti, parlando di Genova, credo ci sia un bel rapporto. Ai concerti organizzati da DisorderDrama spesso ci si incontra, e semplici eventi diventano un modo per interagire tra di noi. E poi, credo che ci siano ottimi gruppi qui a Genova… a volte mi sembra una realtà un po’ trascurata per le sue potenzialità.

Stando alla descrizione che correda la presentazione di Talking. Silently e.p., date molta importanza alla dimensione live: è un modo per tentare di emergere e farsi conoscere, o anche in questo caso si tratta di necessità artistica e cercate “soltanto” il contatto con il pubblico?
D- Da quando è uscito Talking. Silently e.p. sono cambiate un po’ di cose, anche se neppure troppe per la verità, nel senso che noi continuiamo a rapportarci al fare musica con lo stesso intento, ovvero di pensare, comporre e suonare cosa ci viene da dentro con la massima spontaneità e cercando di confrontarci il più possibile con meccanismi diversi e strumentazioni differenti per realizzare le nostre idee. E’ cosa comunque certa e visibile che le ultime nostre composizioni si distaccano abbastanza dalle prime. Una volta dal vivo cercavamo di proporre una dimensione “più suonata” di quello che avevamo su disco. Lavoravamo con maggior zelo per quanto riguardava l’impianto strutturale elettronico in fase di scrittura, così che poi ci ritrovavamo a dare un corpo maggiormente “rock” e di impatto se vogliamo, durante i live. Questo forse perché in fondo la nostra anima maggiormente legata a generi guitar oriented scalpitava. Ora che abbiamo trovato una buona taratura ed un equilibrio efficace tra tutte le cose che ci piace fare, il live forse può apparire più simile a quanto si può ascoltare su disco, anche se comunque, rimane assolutamente importante per esprimere un certo tipo di fisicità.
P- Le due fasi, quella compositiva e quella live, sono complementari per noi, due facce della stessa medaglia e come tali sono indivisibili. Uno corrisponde ad un momento più riflessivo e di creatività dove cerchi di esprimere quello che vuoi tradurre in suono, il secondo è un momento in cui cerchi di raccontare al pubblico il tuo lavoro,  visto con gli occhi del presente. Vale a dire che i pezzi mutano dal vivo, a seconda di come vediamo il pezzo in quel momento. Inoltre anche l’approccio ai pezzi è differente dal momento che passiamo da una composizione più “ragionata” ad un’esibizione più istintiva.  Per quando riguarda il farsi conoscere invece c’entra poco: non facciamo live per sponsorizzarci, quella è solo una conseguenza del suonare in giro. I live ti aiutano a crescere musicalmente in quanto solo davanti a delle persone che ti ascoltano capisci se i pezzi funzionano oppure no. Gli occhi delle persone possono essere più severi della peggiore delle recensioni.

Le strutture dei vostri brani, tra distorsioni e tappeti elettronici, sono tutto fuorché lineari; ci parlereste del processo di songwriting? Da dove traete le maggiori ispirazioni e come le traducete conseguentemente in musica?
D- Questa può apparire una domanda tanto facile e scontata quanto scomoda e problematica.
Dunque… In linea generale il nostro songwriting inizia sempre in modo dissociato, ovvero o io o Paolo lavoriamo per conto nostro su un’idea abbozzando qualcosa a casa. Non abbiamo dei codici di sviluppo ben precisi in fase di abbozzo dei brani, né uno strumento guida dal quale far uscire una parte precisa. Solitamente nasce tutto con la massima libertà, fino a che si inizia a scambiarsi le varie tracce via mail, sulle quali re-interveniamo a vicenda, portando avanti un discorso di [de]strutturazione che può andare avanti per pochi giorni come per più mesi. Quando riteniamo di avere una buona matrice di base, si va in studio  e quì si inizia a registrare parti più o meno precise e definite. Successivamente di solito durante la fase di pre-mix ritorna a galla lo spirito freak e svarionato, che ci porta magari a smembrare nuovamente il pezzo e a dipingerlo con nuove soluzioni e nuove idee… Personalmente le mie ispirazioni non sono specifiche e continue, ma eterogenee e cangianti… Le ultime cose alle quali sto lavorando subiscono più o meno influenze dalle cose che faccio e di come vivo ora, influenze legate a come passo il tempo… E comunque rimarco l’importanza che ha per noi, e quindi per me, la possibilità di comporre senza pensare ad un “genere” o a un “modus operandi” in particolare. La terza serie del telefilm Dexter per esempio mi sta ossessionando… Sto ascoltando parecchia dub-step e anche se non so quanto lo si possa riscontrare nella nostra musica, dentro me so che un certo tipo di alienazione urbana figlia della garage e dei rave ’90 è presente e anche se in modo sottile dice la sua nel mio modo di comporre. Poi in generale tutta la scena di Williamsburg, non solo quella musicale ma anche quella artistico visiva.
P- Il processo di songwriting devo dire che è mutato molto nel tempo. All’inizio quello che era la produzione nasceva e finiva nelle nostre camera. Ora invece direi che il processo che porta al pezzo finito è un po’ più lungo. L’idea viene concepita comunque sempre in solitudine, per cosi dire, e poi viene sviluppata da entrambi mediante lo scambio di materiale via e-mail. Quando la base ci sembra più o meno sistemata allora andiamo nello studio di registrazione per inserire strumenti “veri” al pezzo. Ma più in generale tutte quelle idee che potrebbero venire in testa in una sala prove. Poi una volta che hai tutti gli ingredienti, si passa al ricostruire tutto a volte ribaltando anche completamente l’idea di partenza. Forse i pezzi risultano non lineari perché figli di un processo creativo anch’esso non lineare e caotico. Per quanto concerne la fonte dell’ispirazione direi che è un insieme di molti elementi: situazioni vissute, qualcosa che vedo, uno stato d’animo e cosi via. Quando hai abbastanza di queste cose dentro di te, allora l’ispirazione nasce in modo spontaneo. Un’altra cosa che mi ispira è cambiare spesso la mia tecnica compositiva, cambiare il modo in cui mi avvicino alla canzone. Se usassi sempre gli stessi strumenti, sempre gli stessi programmi etc. allora finirei per fare sempre le stesse cose. Il cervello come si sa si impigrisce velocemente e quindi finire ad usare sempre le stesse soluzioni sonore.

Una curiosità sul vostro particolare monicker: c’è qualche rimando implicito, oppure è davvero frutto dei fumi dell’alcol come da voi stessi dichiarato?
D- Sicuramente non c’è nessun rimando agli Her Space In Holiday, un gruppo che nemmeno ci piace, e che abbiamo conosciuto dopo mail di gente che ci chiedeva di caricare sul nostro myspace il brano dal quale a detta di tali persone avremmo preso il nome… e poi sì, davvero, vorrei potermi ricordare da cosa è nato… ma proprio niet, non riesco… quella sera so solo che abbiamo parlato per ore di politica.
P- I fumi dell’alcol c’entrano sicuramente, che poi avessimo in testa un rimando implicito o no quando lo abbiamo detto già, non lo sapremo mai. Ma ora poco importa. Il giorno dopo ci siamo svegliati con un nome per il gruppo che ci piaceva. Riguardo agli Her Space In Holiday, l’ho scoperto solo quando cercando su google Japanese Gum c’erano dei link che rimandavano a quel brano. Sicuramente c’entra di più il mio amore per il Giappone che per Her Space In Holiday.

Per concludere, cosa dobbiamo aspettarci in futuro dai Japanese Gum? Vi concentrerete maggiormente sulla promozione del materiale disponibile o avete già in cantiere qualche cosa di nuovo?
D- La promozione di Without You I’m Napping è in atto, abbiamo un po’ di date in giro e la critica appunto, ha iniziato a far uscire articoli su di noi da poco, quindi in questo senso posso dire che la palla al momento non è tra i nostri piedi…
…nel frattempo comunque stiamo ultimando i dettagli per far uscire il primo disco full-length, che spero riesca a vedere la luce il prima possibile.
P- Il futuro è per noi molto vicino, nel senso che ci stiamo preparando a far uscire l’album che però, visti i tempi che abbiamo impiegato per finirlo, lo sentiamo addirittura già un po’ vecchio. Attualmente stiamo lavorando già al secondo disco, che sicuramente non avrà tempi biblici come il primo!

Grazie per la disponibilità, magari ci risentiamo in occasione della vostra prossima uscita discografica. A voi l’onore della chiusura.
D- Grazie a te per l’intervista e per il lavoro importantissimo che fai e che molte altre persone fanno per pura passione senza uno straccio di remunerazione. Yo.
P- Sarebbe veramente un piacere per noi ritornare tuoi ospiti. Grazie infinitamente per averci dato questo spazio attraverso il quale ci siamo potuti far conoscere un po’ meglio. Inoltre concordo in pieno con Davide sul fatto che il tuo lavoro, come quello di altri, è fondamentale per far crescere interesse e per portare avanti la musica indie in Italia che altrimenti verrebbe snobbata dagli altri media.

A cura di Andrea Bosetti e Guglielmo Cherchi

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